domenica 11 dicembre 2011

Il mio caro Angelo

Ci incontrammo una sera nella mia citta', un po' piovosa un po' triste, cosi' come eravamo noi, che pur scherzavamo e ridevamo sempre.
Angelo era un po' uomo d'altri tempi, cortese, gentile, sottotono, un poco timido, non di quelli che ci provano sempre e ogni buca e' trincea, ma di quelli che magari nemmeno osano sfiorarti una mano.
Abbiamo mangiato, bevuto, chiacchierato, piu' del mondo che di noi.
Nel corso della serata una telefonata del padre, non riusciva a vedere la televisione col decoder, e Angelo pazientemente a spiegargli, lui viveva con l'anziano padre, lo accudiva, e non guardava mai la televisione, preferiva leggere i suoi libri o ascoltare la sua musica, classica jazz.
Angelo non parlava molto, ma quello che diceva era profondo, intelligente, da uomo di cultura qual era.
Ci lasciammo cosi', con la promessa di rivederci.
E' passato un anno, senza piu' rivederci, forse la nostra innata timidezza, o un baratro di solitudini ormai troppo fondo.
Angelo commentava spesso i miei post su Facebook, talvolta li condivideva sulla sua bacheca, perche' lo facevano ridere, col mio modo buffo di esprimermi.
Angelo rideva sempre con le sue faccine su Facebook, con l'ironia tipica dell'uomo intelligente, niente poteva far supporre la sua fine, ma sono proprio quelli che sempre sorridono che poi decidono di farla finita, senza clamore, nell'invisibilita' di cui hanno permeato la loro vita.
E l'ho scoperto cosi', con un messaggio inviatogli senza risposta, sono andata a cercarlo sulla sua pagina e ho letto il commiato degli amici, una breve ricerca su Internet e trovato la notizia, un arrivederci dai suoi ragazzi ai quali insegnava letteratura inglese.
Angelo era uomo colto, la sua pagina colma di poesie, ma l'umilta' e la modestia erano il suo abito naturale.
Ad Angelo faceva male il mondo - come a Gaber - lui era un compagno, di quelli ancora critici, onesti, consapevoli, con la disillusione di un'utopia mai realizzata, e la solitudine tipica dei compagni veri, che si riconoscono tra pochi sopravvissuti.
Angelo aveva un buon lavoro, ma si portava sulle spalle il peso del fallimento di una generazione - perdente - dentro la nausea cronica di Sartre e il coraggio ponderato della speranza persa.
Come Monicelli, come Lucio Magri, Angelo non ha sopportato oltre il distacco da un mondo ormai a lui estraneo, e l'ha voluto rendere effettivo, drastico, perenne.
Ci si domanda poi, avremmo potuto fare, dirci di piu', magari unire piu' solitudini, ma le risposte le sanno solo gli angeli.