martedì 26 febbraio 2008

La verita' negata

Il costo della verita'.
Significa non fare carriera, perche' non si e' ruffiani o leccaculi.
Significa avere pochi amici poiche' agli amici non piace la scomoda verita', solo consolazioni e compatimenti.
Significa perdere un amore, perche' non prometti la luna e fiabe dal finale e vissero per sempre felici e contenti.
Significa non vendersi per un finto orgasmo e un falso calore umano, ma chiamare sesso cio' che e' soltanto sesso.
Significa dire: ho fame, ho sete, ho freddo, ho voglia di fare l'amore, a chi non vuole vedere, sentire, giocare.
Significa farsi rubare e truffare soldi, in un sistema nel quale la giustizia e' a misura di ricchi o furbi.
Significa elargire denaro e favori in un raptus di pietismo e buonismo, poi sparire col bottino del cuore.
Significa rinunciare ai propri sogni, perche' la verita' e' pragmatismo responsabile.
Significa stare male e bene nel contempo, anima e corpo, e comunque sorridere.
Significa non domandarsi mai il senso della verita', poiche' la gente non e' tenuta a capire.
Significa che veri si nasce non lo si diventa, stato di grazia o dannazione con cui convivere consapevoli.
La verita' non e' una sola, semplicemente e' sola.

domenica 24 febbraio 2008

Sonata al chiar di luna


Vieni dolce e' la notte
A coglierne il miele
Suggere labbra d'ambra
Mingere aureole dorate
Pose su fianchi lunari
Membra roteanti danzanti
Moto lento andante mosso
Zampilli di note in crescendo
Tocco lieve intenso felino
Miagolii graffianti fusa
Sax suona Poesia
Eros in Musica.

giovedì 21 febbraio 2008

Fuga


Col volto scavato
Dita sottili
Anelli persi tra le lenzuola
Non vuoi guardarmi gli occhi
Ti smarriresti
Nel mar nero degli addii
Invochi freschezza
Ti rendo la Storia
Vuoi leggere belta'
Scrivimi specchio riflesso
Fuggitivi da noi.

L'ombelico del mondo

Siamo circondati.
Liberiamoci.
Da questo senso di apatia, abulia, pressione ai minimi storici.
Fibre tese, uomini e donne sull'orlo di una crisi di nervi.
E' un mondo difficile.
La politica immondizia.
Le finanze latitano.
Amicizie e amori vuoti a perdere.
Ci hanno tolto anche la voglia di fare all'amore.
Ma Perdio, come cantava il Guccio, diamoci una scrollata.
Lo si deve per chi sempre ci ha regalato sorrisi.
E' d'obbligo verso quella lupa che ci ha svezzato e allattato.
E' uscire dall'utero materno per entrare nell'ombelico del mondo.

Se su Madre Terra cade pioggia mista a sabbia del deserto.
Se la luna rossa veste l'abito scuro dell'eclissi.
Se la dea Musa dimentica i versi di poesia.
Se una donna chiama a raccolta i figli frutto del suo amore.
Siate per lei sollievo, conforto, linfa.
E' giunto il momento di renderle un abbraccio.
L'imperativo e' vivere.

venerdì 15 febbraio 2008

Eutanasia di poesia

Se il governo 
d'un Paese 
e' d'un popolo specchio laido.
Se s'arriva 
ad odiare poesia
giunge l'ora 
del silenzio
mai dare ai porci p
erle.
Che poesia si ritiri nell'eremo protetto
coi pochi lupi 
che l'amano ancora
prima che se ne faccia carne 
da macello.
Il mare del deserto e' in tempesta
tormenta di sabbia fra le dune
cogli occhi graffiati 
crepacci violati
su ghiacciai perenni
s'arrocca la montagna.
Scacco alla Regina.

mercoledì 13 febbraio 2008

All'uomo che non ho

Domani e' San Valentino.
Non mi importa delle ricorrenze, ma rimembrano memorie.
Era un quattordici febbraio di venti anni fa quando mia madre fu operata d'urgenza, per morire due anni dopo.
Era un quattordici febbraio quando un amore si fece mille chilometri in giornata per un mazzolino di rose e un amplesso intenso disperato, rubato al tempo.
Un San Valentino di dolore l'altro di gioia, cosi' com'e' la vita.
All'uomo che non ho, domani direi...
Potrei narrare di sogni di giovane donna, di lotta, amore, maternita'.
Potrei raccontare della fatica del vivere, del crescere soli figlioli.
Potrei descrivere lunghe notti insonni, a fissare un muro, a cullare un futuro.
Potrei cantilenare nenie su cio' che fu, e' stato e mai piu' sara'.
Invece muta lo guarderei.
Scandendo i pensieri al ritmo del respiro.
Senza voler sapere di ieri e rimandando il domani.
Fermando il tempo, la vita nell'istante.
Sentirei il suo cuore battere, finalmente chetandomi.
Abuserei dolcemente di lui e perversamente bastarda lo rinnegherei.
Amandoci, detestandoci, sconvolti da baci, morsi, graffi, carezze.
Sospiri in bilico sul dirupo che si affaccia al mare.
A spingerci oltre tenendoci le mani.
Il piacere e' un'inquietudine selvaggia.
Libera di cavalcare indomita onde orgasmiche.
Dall'uomo che non ho vorrei ebbrezza, pura follia, placebo di tranquillita'.
All'uomo che non ho domanderei la luna.
Per l'uomo che non ho sarei luna piena del suo.
Con l'uomo che non ho ridiscendere a valle e tornare ad amare.

domenica 10 febbraio 2008

Fiaba - Gli occhi di Frugolina

Frugolina era nata con gli occhi chiusi. 
Non che fosse cieca, no, solo che non aveva mai aperto gli occhi. 
Nessuno, nemmeno la madre, conosceva il colore degli occhi di Frugolina. 
Chi diceva blu, chi verdi, chi neri, qualcuno addirittura sentenziava con tono saccente: “bianchi!”, giudizio supportato da teorie scientifiche sul non colore che li comprende tutti.
Crescendo Frugolina, che teneva sempre gli occhi ben chiusi, aveva sviluppato un sesto senso che sopperiva alla mancanza della vista. 
Sì, lei portava con somma naturalità un paio di invisibili antenne che l'aiutavano ad orientarsi nel mondo, a non inciampare per la via, a fare tutto quello che facevano gli altri bambini, quelli con gli occhi aperti.
All'inizio la mamma, il papà, la maestra, il parroco, il dottore, tutti pensarono che Frugolina avesse bisogno di un bastone o di un cane per difendersi, camminare, attraversare la strada. 
Ma ben presto si accorsero che Frugolina usava il bastone montandovi a cavalcioni come fosse un cavallo o, nel peggiore dei casi, per fare lo sgambetto a signore premurose che a tutti i costi, nonostante le sue proteste, insistevano nell'accompagnarla dall'altra parte del marciapiede.
Fu allora che la comunità pensò a un cane lupo. 
Duck venne acquistato grazie alla raccolta scolastica di montagne di carta stagnola. 
Cinque anni di maniacale collezione di uova di pasqua, che procurò alla direttrice didattica una denuncia per intossicazione collettiva da cioccolata avariata, e alla scolaresca un'ondata di dissenteria che aggravò il disavanzo delle casse comunali per opere di straordinaria manutenzione delle reti fognarie. 
Oltretutto, l'infausto atto di solidarietà provocò strascichi scandalistici a catena sulle prime pagine delle gazzette locali. 
Finto scoop sull'epidemia di salmonella scoppiata nel paese, frutto di una spettegolata del barelliere di turno al pronto soccorso e avallata dalla spiata sottobanco del bidello della scuola, talpa dopolavorista della cronaca cittadina.
Il fidato Duck, nel suo pensiero minimalista e animalista per definizione, aveva captato col suo fiuto ultrasonico le antenne di Frugolina. 
Per cui quando uscivano insieme, lui andava a cacciare il muso nel bosco in cerca di tartufi che barattava poi con succulenti bistecche di prima scelta, o si rifugiava in un cimitero di auto in demolizione da una vecchia gomma di scorta a cui s'era affezionato per fare pipì. 
Oppure seguiva l'odorosa scia di coccole dell'altra metà del cielo canino. 
E così Frugolina, leggera come libellula, correva nei prati, si arrampicava sugli alberi, rubava mele ai contadini.
Ma come faceva, direte voi, a fare tutte queste cose se stava sempre ad occhi chiusi? 
Le antenne, ragazzi, dimenticate le antenne! 
E non solo, si aiutava con l'olfatto.
Erano i profumi che l'attiravano, come ape sui fiori, e gli odori cattivi che l'avvertivano del pericolo. 
Ma non pensate che per lei profumo fosse solo quello delle boccettine, o no, profumo di buono era anche l'aroma delle lenzuola stese, il brodo di gallina della mamma, il crostino che il fornaio le regalava alla mattina... 
E l'odore brutto, quello della cattiveria, lei lo sentiva addosso alle persone, che anche se si coprivano di deodorante trasudava dai pori della pelle, e i nasi ben esercitati come il suo lo coglieva al volo!
E poi c'era il gusto. 
Con la punta della lingua assaggiava il caldo e il freddo, il dolce e l'amaro. 
Quando baciava un bambino triste per consolarlo, sentiva sulle labbra il sapore di sale delle sue lacrime.
A quanti dittatori e potenti per castigo avrebbe voluto far bere damigiane di lacrime di bambini!
E con l'udito, lei ascoltava parole, musiche, urli, risate. 
A volte il suono era troppo forte e si stringeva forte la testa tra le mani. 
Altre, era quasi un mormorio impercettibile. 
E allora diceva ai suoi compagni:
“Occhio ragazzi, che spesso chi soffre tanto non ha più fiato per gridare aiuto. Quindi orecchie sempre aperte e antenne ben diritte.” 
Proprio come quelle di Frugolina!
Infine teneva il tatto. 
La sensazione più bella, quel tocco magico... 
Accarezzare un cucciolo, un pulcino, la pelle di velluto di un bambino appena nato. 
Fare il contropelo a una testina di capelli rasati da poco. 
Col tatto scopriva le forme della natura, le emozioni, l'amore in ogni luogo, dimensione, spazio.
Un giorno Frugolina incontrò un uomo. 
Non era del paese. 
Un forestiero. 
Le offrì caramelle e la prese per mano. 
La portò nel bosco. 
Duck era a fare pipì. 
Frugolina era sola con l'uomo.
Lui le chiese:
“Perché tieni gli occhi chiusi? Hai paura di me?”
Lei gli rispose:
“Sono nata così. Con gli occhi chiusi. Ma io ho le antenne e posso dirti come sei. Sento con le orecchie che la tua voce è fredda ma non cattiva. Sento con la bocca che le tue caramelle sono dolci ma sanno troppo di zucchero. Sento con il naso che hai un odore aspro, selvatico, di muschio e terra bagnata. Sento con le mani che la tua faccia è solcata da canali riarsi. Hai bisogno di piangere.”
L'uomo pianse. 
E poi le disse:
“Io vengo da lontano. Non volevo farti del male. Volevo solo rubarti il segreto del colore dei tuoi occhi.”
Frugolina per un interminabile istante lo fissò. 
Un raggio lunare trapassò le iridi dell'uomo che cadde a terra inginocchiato.
Frugolina ritornò a casa e da quel giorno a chi le domandava il colore degli occhi, rispondeva ridendo:
“Color della luna che scappa!”.

Invito a teatro - Prendete i bambini

(Lettura interpretativa a più voci)

(Interno sera)
(Scena)
Al centro, la carcassa di un televisore con sopra un mozzicone di candela. In un angolo, il rottame di una carrozzina per bambini. Sul pavimento, di fronte al televisore, un materasso consunto, su cui giace una vecchia e sudicia bambola senza vestiti e priva di un braccio.
Una donna, avvolta in un logoro scialle nero, entra. Con un fiammifero accende la candela, si china a raccogliere la bambola. La stringe al petto, la bacia, si siede sul materasso e se la appoggia in grembo.
(da fuori campo: si ode la sigla del nuovo inno nazionale)
(voce fuori campo: uomo, speaker del telegiornale - tono professionale)
- Buonasera. Apriamo il giornale con una notizia d'agenzia appena pervenutaci. Una banda di uomini armati ha fatto irruzione in un nostro supermercato... -
(voce dello speaker in dissolvenza)
La donna raccoglie la bambola, si alza e inizia a cullarla.
(Voce della donna - Narrazione)
Era una giornata come tante al villaggio globale. Dove lavoravo, lasciavo mia figlia, facevo la spesa... Perché lì c'era proprio tutto, uffici e servizi compresi.
Avevo da poco terminato il lavoro.
Passai dal baby center per vedere se Anges fosse già sveglia. Siccome dormiva ancora, decisi di entrare al market shop.
Stavo per varcare la soglia, quando irruppero nel centro una ventina di uomini armati.
(Voce fuori campo - Uomo che grida)
- Faccia a terra! -
(Voce della donna - Narrazione)
Mi ci volle qualche istante per rendermi conto di quanto stava accadendo. D'improvviso, mi sentii afferrare un braccio e trascinare a terra. Con un impercettibile movimento del capo riuscii a dirigere lo sguardo verso la forza che mi teneva premuta la faccia sul pavimento. Vedevo un uomo sulla trentina che mi fissava minaccioso. Sentivo la sua stretta intorno al mio polso.
(Voce fuori campo - Uomo, con tono basso ma deciso)
- Non ti muovere e non fiatare! -
(Voce della donna - Narrazione)
Dall'accento si capiva che era uno straniero, appartenente all'etnia dei cosmopoliti, le popolazioni non riconosciute dal libero stato. Contratta nell'innaturale staticità del mio corpo, la mia mente rincorreva freneticamente domande, risposte, spezzoni di avvenimenti...
E mi interrogavo.
(con tono concitato)
Ma cosa vogliono? Chi sono? Perché?
(pausa - riprende con tono cantilenante)
Poi... Sentii uno di loro gridare...
(Voce fuori campo - Uomo, con tono imperioso)
- Prendete i bambini! -
(Voce della donna - Narrazione)
E tutto mi fu chiaro.
La guerra.
La guerra che massacrava uomini, donne, bambini...
In quella parte di territorio terra di nessuno, dove il quotidiano era giungere alla fine della giornata...
(pausa)
Ancora vivi.
(tono concitato, frenetico, allucinato)
E davanti agli occhi mi si proiettarono scene d'orrore: gente urlante che cadeva per le strade... un piccolo dalla gamba amputata sostenuto alla stampella...
(pausa - tono sottomesso, quasi sacrale)
L'immagine di un corpicino decapitato tra le braccia di un padre il cui grido disperato pareva echeggiasse da distanze infinite...
(pausa - tono dolente)
E le parole colte. Resoconti di massacri. Gli agghiaccianti racconti delle donne e bambine stuprate, torture, sevizie, esseri umani gettati nel crogiuolo dei maiali...
(tono in crescendo, farneticante)
E quell'uomo che mi fissava. Leggevo odio nel suo sguardo. Rabbia, rancore...
Pareva chiedermi:
(Uomo e donna a due voci)
- E tu dov'eri? Cos'hai fatto per fermare la barbarie?
Tu che continuavi a ridere, a mangiare, a vivere. Tu che condannavi questa sporca guerra, dal tuo nido protetto di pace. Tu così civile, così umana, così serena... -
(Voce fuori campo - Uomo, con rabbia)
E a me hanno bruciato la casa, hanno ammazzato i fratelli. Anch'io vivevo un tempo in una moderna città. Dove la gente lavorava, faceva l'amore, cresceva i figli... Ora, tutto è coperto di sangue. Il sangue dei miei genitori, dei miei bambini, della mia donna...
(pausa - riprende con tono più calmo)
L'ho vista, sai, la mia donna. Dopo.
(tono in crescendo - quasi urlato)
Coperta di fango, di sperma, di merda... Le gambe aperte. Un buco nero riempito di sangue. Sventrata. Ha visto i suoi figli morire. La mia bambina ha sentito implorare. Gridare.
(tono cantilenante)
E gridava, gridava, chiamava la mamma...
(lunga pausa)
Poi, più nulla. Soltanto il terrore negli occhi di morta. E il mio ragazzo, così l'ho trovato. Buttato addosso a quel corpicino... Così l'ho trovato.
(gridando)
Col collo spezzato!
(pausa - con tono implorante)
E tu, dov'eri?
(Voce fuori campo: Uomo, con tono imperioso)
- Prendete i bambini! -
(Voce della donna - con tono dolente)
Comincio a piangere, poi a singhiozzare. No! I bambini no! Non potete fare questo! Mi muovo di scatto. L'uomo mi serra il polso in una morsa d'acciaio. E mi fissa. Lo guardo, l'imploro con gli occhi, son mute parole le lacrime.
(con tono implorante)
Non prendete i bambini. Non potete fare quello che hanno fatto a voi... Mio Dio! Ma dov'è Dio? Perché proprio i bambini? Loro non hanno colpa...
(La donna stringe convulsamente la bambola a sé - con urlo straziante)
- Nooo... La mia bambina nooo... -
(Riprende a cullarla - con tono cantilenante)
E lui, mi risponde con gli occhi. E ascolto il dolore. Lo stesso vibrante che è in me. Infiniti perché, cercando una ragione alla follia, quando ragione alla follia non c'è.
(pausa)
E lui mi racconta, tacendo, di sé. E' come incontrarsi al caffè. E se non fosse per questa guerra assurda, forse, ci saremmo potuti incontrare davvero a bere un caffè. A parlare del tempo, del governo, di vita e speranza...
(pausa)
Ma qui, adesso, Dio è morto. Ogni speranza dispersa, la vita stessa, finita.
(La donna stringe forte al petto la bambola - con tono allucinato)
Vedo passare un uomo che tiene in braccio la mia bambina. Vorrei chiamarla. Mi esce solo pianto. Penso che non le hanno messo neppure la vestina. E' appena guarita dall'influenza... Come faranno a curarla, a cullarla?
(pausa)
Oramai singhiozzo solamente. E l'uomo mi stringe più forte la mano.
(con tono trasognato)
Sì... Adesso la mano! E nei suoi occhi non leggo più odio, rabbia, rancore. Mi stringe la mano per farmi coraggio. Mi stringe la mano come fosse il mio uomo, il padre dei miei figli... E mi sta tenendo forte la mano, come alla donna che ha partorito i figli suoi.
(pausa - carica drammatica)
E io mi ci aggrappo, a questa sua mano. Come un'ultima speranza di vita. D'umanità.

La donna scruta lontano. Tiene la bambola appiccicata al seno quasi a soffocarla. Con voce cantilenante, pare che sussurri una ninna nanna:
- E seguo con lo sguardo i camion che portano via i bambini. La mia bambina... L'Uomo. -
(Voce fuori campo: uomo, lo speaker del telegiornale - tono enfatico)
- Per questa sera è tutto. Vi auguriamo la buonanotte e arrivederci a domani. -
(da fuori campo: in sottofondo, risuona l'inno nazionale)

La donna si volta lentamente. Teneramente adagia la bambola sul materasso. La copre con lo scialle. Con un soffio, spegne la candela.

(Sipario)

sabato 9 febbraio 2008

Ossimoro

Sto impazzendo.
Catapultata sul pianeta Ossimoro.
L’ossimoro e’ una figura retorica basata su sensi abitualmente contrapposti, consistente nel porre vicino due parole di significato opposto, ovvero l’apice del paradosso in termini.
Ad esempio una lucida follia.
E di fatto di lucida follia ormai viviamo.
Incoerenza e contraddizione sono due sciantose a braccetto col Charlot di Tempi Moderni.
Con quell’aria un po’ cosi’, fra il tragicomico e il patetico, vesti logore sgargianti e trucco peso.
Il trucco c’e’ ma non si vede.
Una volta pensavo di essere intelligente.
Oggi non riesco piu’ a capire, la gente, i governi, lo Stato, il libero mercato, la legge, i contratti.
Vivo quotidianamente esperienze che esulano da ogni sorta di codifica e relativa decodifica, col finale irrisolto da quesito pirandelliano su chi sia il vero pazzo.
Ad esempio i contratti.
Per risparmiare navigo da mesi nel mare di offerte telefoniche e telematiche, piu’ o meno economicamente equivalenti e altrettanto astruse nella stesura dei contratti, con clausole che solo a leggerle ti arriva l’acqua alla gola sprofondando nella fossa delle Marianne di vincoli e legacci.
Poi m’illumino d’immenso, proseguendo non sulla via di Damasco bensi’ alla ricerca della luce, possibilmente a costo calmierato.
E mi imbatto nelle proposte di risparmio energetico di colossi e societa’ miste pubbliche private.
Privandomi appunto dell’ultimo elettrone di ratio, imploso nei meandri di conti, contatori, distributori, trasportatori, importatori, scatenando una reazione nucleare di disfatta cerebrale.
Ma la prova tangibile dell’esistenza dell’ossimoro mi e’ giunta sulle ali della posta.
Latore della missiva una compagnia assicurativa che annuncia il risarcimento diretto dei danni subiti per i suoi assicurati.
Pare che ci pensino loro a tutelare i diritti e a liquidare i clienti. Dicono che si risparmia tempo, preoccupazioni e trafile burocratiche. Scrivono che in tempi certi e senza anticipo di denaro si possono richiedere carro attrezzi, carrozzerie convenzionate, auto sostitutiva.
Gioisco per la lieta novella, nonostante che da oltre un mese viaggi ancora a piedi causa il tamponamento della mia auto nel parcheggio sotto casa.
Da buona cristiana attendo la grazia e prego nell’esercizio delle tre virtu’ teologali: speranza, di trasparenza sul mistero oscuro dell’iter di risarcimento; carita’, sul celere rimborso dei danni; fede, nell’enunciazione degli agenti arcangeli che tale sinistro non rientra nella casistica del vangelo assicurativo.
Pentitevi peccatori non rientranti nella casistica.
La truffa ad esempio non rientra piu’ in alcuna casistica.
Invece l’onesta’ rientra nella casistica dei fessi e gabbati.
Se non sei furbo come Pinocchio, il Gatto e la Volpe, il Grillo Parlante, ti rimane solo da fare il ciuco.
Una volta c’era la parola d’onore, una stretta di mano, un abbraccio a sancire un patto, d’affari o d’amore.
Ora vuote parole, vergate, gridate, sussurrate, a perdersi.
Quale sputo nell’oceano lunare.

mercoledì 6 febbraio 2008

Casque'

Trovo folle la corsa dei criceti sulla ruota.
Se il mondo si fermasse in questo momento resterei immobile a guardarlo.
Non mi piace l'immagine che riflette lo specchio.
Oramai sbiadita, opaca come vetro mal pulito.
Spezzo l'abulia dando croccantini al gatto.
Vorrei un motivo, una ragione, un senso.
Scrivo molto, parlo poco, esco di rado.
A scuotermi non basta piu' nemmeno il cielo che cade sulla testa.
Lo scetticismo anarchico mi impedisce di credere nella fede o nella politica.
Filosofia e psicologia non sono scienze esatte.
Ferma a trastullarmi in cerchi concentrici l'ombelico.
Una scossa, luce o blackout.
Reazione a catena oppure reattivita' in catene.
Condizionata come il cane di Pavlov.
Non so che fare con me.
Magari un tango solitario.
Fra i denti rosa estremo.

lunedì 4 febbraio 2008

Mentre tutto scorre

Se a te e' morta Mamma Rosa a me e' morta Zia Iraide.
La differenza tra mia zia e tua mamma e' che la mia era contadina, non ha mai indossato pellicce pero' sapeva tirare il collo alle galline, non ha sposato o partorito alcun palazzinaro.
Anzi lo zio Giulio ha fatto una morte memorabile, avvinazzato com'era gli e’ preso un colpetto al gabinetto – non quello istituzionale – deputato a quei tempi fuori casa.
Mi ricordo ancora la dura carta da giornale per nettarsi il deretano, e anche se le testate allora erano piu' nobili, vuoi mettere la soddisfazione di pulirsi il sedere coi cinquant'anni di Democrazia Cristiana.
Oggi potremmo farlo coi dieci governi di morbidezza vota Mastella.
Nella mastella - per i non emiliani bacinella - ci facevamo il bagno noi piccini al sabato, riscaldati dalla stufa a legna coi cerchi, e fu un lusso comprarsi il bidet di plastica col treppiede.
Che ancora oggi potrebbe essere utile in vista delle prossime elezioni, assieme allo storico cavalletto.
Abitavamo in una soffitta ed io vedevo il mondo a sbarre da un finestrino, come in galera ma la stanza mi pareva infinita, commisurata alla mia statura nana.
Probabilmente e’ la stessa sensazione che prova Berlusconi quando sale al Quirinale.
Con occhi da bambina indiana scrutavo l'orizzonte, principessa povera senza Barbie. 
Il mio tempo lo trascorrevo solitaria nel cortile, evitando le cantine, dove c'era l'uomo col sacco pronto a portarmi via. 
Piccola Cassandra divinatrice degli uomini che metteranno poi nel sacco.
Alla domenica oltre all'odore del brodo - gallina nostrana della zia Iraide - mi svegliava l'urlo dell'arrotino e il grido del Resto del Carlino, che non capivo quale resto questo Carlino dovesse mai dare, e soprattutto a chi.
Proprio come adesso le promesse sul calo delle tasse.
Ero talmente stupidina che in giro con mio padre sulla Lambretta, mi domandavo sempre cosa significasse il cartello di divieto di sosta permanente, perche' per me la permanente era quella che faceva mia madre dalla parrucchiera, per cui non ne afferravo il senso.
Un po’ come ora il vietato fumare, reato peggiore del falso in bilancio.
Poi c'era il giornaletto, il Topolino domenicale, le mentine, e la gita in campagna dalla zia Iraide.
Si beveva l'acqua col mestolo appeso sopra al lavabo. 
E si dormiva nell’alto lettone riscaldato dal 'prete', che non era un clericale lussurioso bensi' lo scaldino con le braci dentro.
Oggi abbiamo dato l'ultimo saluto alla Zia Iraide, che ha vissuto i suoi quasi novant’anni in estrema semplicita' e bonta', quel suo essere un po' bambina nonostante i capelli canuti gia’ trentenne.
Zia Iraide con la Lilli, la cagnolina randagia, le sue galline e qualche coniglio.
Da bambina osservavo affascinata il movimento di quei conigli, uno sopra dietro l'altro, quel ritmo frenetico un lampo un distacco, prima educazione sessuale e consapevolezza del destino maschile da eiaculatori precoci.
Sono andata volentieri al funerale della zia Iraide, non mi rechero’ di sicuro a quello della sorella, troppo tirchia, avida, inumana.
Se avesse avuto un figlio di nome Silvio l'avrebbe educato a divenire Presidente del Coniglio.

domenica 3 febbraio 2008

Parlami d'amore

Emersa dalle nebbie padane.
Ho sempre pensato che ci sono destini votati all'uno invece che al due.
Il che poi non e' cosi' male se si guardano le due facce della medaglia, quella che nessuno russa e l'altra che ti tieni il mal di pancia a coccolartelo da sola.
Finche' si riempie questo vuoto di qualche fiammella, un lumino che per un weekend scalda un poco il cuore, e la pelle. 
E ogni volta prego chi non credo di farmi innamorare, di un volto, di due occhi, di una mano che ti accarezza.
Ma poi mi dico da vecchia bambina autistica che e' come domandare l'isola che non c'e'.
Pero' una volta mi innamorai, di uno sguardo tenero come quello di un cerbiatto. 
Dopo di che se un treno parte un altro arriva.
Sono tutti assai carini con me, a volte mi domando se faccio anch'io tenerezza.
Eppoi mi scordo visi, nomi, flash, riponendo nel limbo tali peccatucci veniali o carnali.
Fino al prossimo viaggio, incontro con l'altro, assolvendo sempre me stessa, senza sapere a chi dire ti voglio bene.