giovedì 18 giugno 2009

Flauto di Pan

Ascolto una canzone che tradotta suona pressapoco cosi': 'Dura... tu senza parole'
Diradata la scrittura, desertificati gli stimoli. 
Camminiamo a respiro sincronizzato.
Mancano le stagioni dai ritmi lenti, il colore e moto perpetuo delle foglie, dalla quieta malinconia d'inverno al tepore nostalgico autunnale, alla linfa smeraldina primaverile sino al rosso acceso dell'estate. 
Parole come foglie. 
Che scendevano lente quali gocce a pioggia, o vorticanti nel folle vento settembrino, caduche in tempo variabile d'umore, talora urticanti ricci ai piedi del castagno. 
Rincorrersi gli stimoli era il nascondino segreto. 
Dietro a fiotti di parole, cascate di pensieri, girandole d'ossimoro, paradossi, analogie. 
Non v'era giorno senza scovarsi, ritrovarsi, riconoscersi e fare tana. 
Nei cespugli di parole, tra rovi d'energia, punto capoverso e viceversa. 
Poi le parole dal sommesso sottobosco si fecero eco di montagna. 
Rimbalzando di valle in valle, ad ogni passaggio di gole fra monti, sempre piu' distanti, lontane, impercettibilmente fredde d'aria d'alta quota. 
Si son perse nel bosco, smarrite bambine, orfane dei giochi. 
L'albero rigoglioso di frutti s'e' fatto arbusto dai rami proteso, noce adunco ai sabba delle streghe, buono d'appendervi il cappello. 
Non s'ode piu' canto di capinera, fruscio di lepre, spento il riverbero di volpe dal manto lucente, cancellate orme, passi, briciole a segnare il sentiero. 
Il ritmo tribale sincopato sconvolse l'armonia del creato, mal s'addice a natura silente. 
E tolte le piume, si leva lo spoglio lamento d'un uomo solo. 
Muto lo sento.

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