domenica 20 settembre 2009

Il giocatore e' solo

Sono appena tornata da un viaggio a Roma, definiamolo un viaggio della speranza. 
Di solito non scrivo mai di emozioni a caldo, tendo sempre a razionalizzare prima, ma stavolta preferisco compiere un'eccezione. 
Il miracolo e' avvenuto? No. 
Ho conosciuto belle persone, alcune portatrici di una sana umanita', soprattutto nei giovani, ma non solo.
Ho assai osservato, ascoltato, scelto consapevolmente il silenzio. 
Poiche' il mio incontro con la gente consiste nell'ascoltare, nel cogliere particolari, dettagli, rivelatori. 
Ho visto gesti gentili, cortesi, di disponibilita' verso l'altro, ho notato anche qualche incoerenza di fondo in chi parla e poi nei fatti disconferma. 
Sono tornata a casa con qualche spunto di riflessione, dalle persone piu' giovani, un pizzico di noia verso quelle di media eta', e una punta di amarezza. 
Un'amarezza che tra l'altro non mi appartiene, comunque condivisa. 
Come quando il giorno prima sei visibile, o ti fanno divenire visibile, e il giorno dopo sei invisibile, o meglio ti fanno sentire invisibile. 
Oppure quando ci si attende aggregazione, condivisione, convivenza - intesa come vivere assieme il tempo e il momento - e manca la convivialita'. 
Poi veniamo a noi. 
A quel muro invisibile, di gomma, che non siamo riusciti a scalfire. 
D'altronde e' anelito impossibile, quando resta qualcosa di sospeso, irrisolto, o di cui si sa ma si fa finta di nulla. 
E' come se non ci fossimo nemmeno visti, incontrati, mai sguardi incrociati, assenti uno all'altro.
Imbarazzo, ma non solo, forse paura di un oltre a noi, non sempre benevolo, o piu' semplicemente indifferenza, distacco. 
Da qualcosa che forse e' stato, letto, scritto. E a cui oggi mettiamo un punto. 
Ci ricorderemo con le trame dei colori dei vestiti e non degli occhi, spenti. 
Al ritorno, accompagnata dal libro di Paul Coelho: Il giocatore e' solo.

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