mercoledì 18 novembre 2009

Montagne verdi

Scendendo le scale dall'ufficio - insolitamente evitando l'ascensore - mi sono soffermata a guardare fuori dalla finestra, questa citta' cosi' triste avvolta nella foschia, talmente gravida di cemento travi gru, in eterna costruzione e non ricostruzione di se stessa. 
Poi mi sono girata e ho visto Amir che pregava.
Amir e' un marocchino che da anni viene a svuotare i bidoni del riciclaggio, carta, plastica, lattine, inginocchiato sul pianerottolo sopra una stuoia sintetica nera, ad occhi chiusi pregava. 
Non si e' voltato a guardarmi, immerso nella sua ascesi. 
Stupita, il mio primo pensiero e' stato 'voglio provare anch'io di ritorno a casa'. 
Ma siccome in codesti tempi moderni occidentali l'altarino e' Internet, eccomi prona virtualmente ad occhi socchiusi a digitare, volgendo la mia preghiera al Dos. 
Sara' che per me il tempo del noi politico, collettivo e' oramai trascorso. 
Sara' che tendo piu' alla costruzione di un cosmo a due, eliminando i rumori di disturbo, cio' che distoglie il te dal me e viceversa. 
Sara' che Sarah e' il nome di una ragazza araba sedicenne che accoltello' il suo padrone a cui il padre l'aveva ceduta come schiava. 
Sara' che il tempo mi preme addosso, nel mezzo del cammin di nostra vita, e mentre i giovani vivono quantunque una speranza di futuro - piu' saggi, abili, capaci della passata generazione nel rivendicarlo - il mio destino mai s'avvera, fatue prospettive dadaiste. 
Ordunque se la mia supplica giunga a quale cielo non ha rilevanza alcuna, anche Amir rimaneva concentrato solamente su se stesso, convertendomi piu' lui vivente e pregante, che un cimitero di croci cristiane, falci e martelli. 
Mi affido quindi alle montagne di Maometto - paradossalmente al verde leghista della tuta di Amir - io di verde Matrix vestita, ossimoro di rinverdita speranza.

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