lunedì 25 maggio 2009

Al me speculare

Giornata torrida interminabile. Raccolgo le ultime forze e scrivo al me speculare. 
Lo sto osservando da lontano, in disparte, e non lo vedo sereno, felice. Come canterebbe Vasco sei nervoso, e non sai perche'. 
Forse io so il motivo, e te lo scrivo. 
S'e' un po' spenta quella luce dentro te e che illuminava gli altri, la tua gentilezza, cortesia, burbera tenerezza.
Noto risposte scostanti, quasi sprezzanti, e cio' mi procura una punta d'insofferenza, o almeno lascia una traccia d'amarezza, di tristezza. 
Dov'e' finito quel me speculare gioioso, speranzoso, pudico e intrigante? 
Ci siamo tenuti per mano, e le idee rifulgevano, in un vortice d'energia, bramosia cerebrale intellettuale, forse dopo tanto tempo uno sprazzo d'utopia. 
Poi ti sei omologato, livellato verso il basso, probabilmente per non perdere consensi, consenzienti.
Smarrendo cosi' per strada qualche amico, incalzato dalla frenesia del correre, che poi non e' altro che la faccia speculare dello stare immobile. 
Immobilismo, staticita', stagnazione. 
Ho provato a spronarti, in punta di piedi scalza a sussurrarti, non mi hai ascoltato forse non piu' udito, troppo preso dal fare, dal dire, e non dal riflettere, meditare. 
La furia, il furore sono cattivi consiglieri. 
Quale ragioniere, addetto al marketing, promoter di te stesso, lo stress avanza, rispondi ad una miriade di gente, massa, ma non comunichi. 
Stai deludendo i tuoi amici, coloro che ti vogliono bene, quelli che c'han creduto. 
Era un abbozzo bellissimo di quadro futuristico, coi colori giusti, la cornice che rifletteva quale diamante, pennellate lunghe, larghe, profonde, sentimenti affettivi, amicali, condivisione, corrispondenze d'amorosi sensi. 
Poi la catarsi. 
Non c'era piu' tempo per illuminarsi d'immenso, sei diventato un neon a intermittenza, come le lucine di natale. 
Mi rifiuto di pensare che era gia' tutto previsto, propendo a continuare a credere che ti sei solo perso, come i bambini nel bosco. 
Chi dice che l'altro 'non serve' e' chi misura soltanto il bene materiale, i prodotti, il risultato, inconsapevole che le idee, la luce, l'amore fraterno, sono tesori appartenenti solamente a quei pochi in grado di produrli, conservarli, propagarli. 
Ma oramai s'e' fatto tardi.
Signora Utopia se n'e' uscita di scena, al me speculare solitario sul palcoscenico potrei suggerire dalla buca il monologo del vai e sii felice, ma con me non puoi recitare. 
Preferisco ricordarti col sorriso d'un mistero buffo.

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