sabato 10 gennaio 2009

Le nostre grida fermano qualche bomba?

Gaza, Marcos: 
«Le nostre grida fermano qualche bomba?» 
Hermann Bellinghausen La Jornada 
[8 Gennaio 2009] 
Pubblichiamo, tratto dal quotidiano La Jornada di lunedì 5 gennaio 2009, ampie parti dell’intervento del subcomandante Marcos dedicato alla guerra su Gaza. 

Per gli zapatisti, a Gaza c’è «un esercito professionista che sta uccidendo una popolazione indifesa», come ha detto oggi il subcomandante Marcos dedicando un intervento fuori programma alla nuova guerra in corso. 
Il penultimo giorno del Festival Mondiale della Degna Rabbia si è riempito di indignazione per l’attacco contro la Palestina e la repressione a Oaxaca avvenuta poche ore prima, con la cattura di 20 persone che partecipavano a una protesta pacifica contro l’invasione di Gaza, davanti al consolato statunitense. 
Nelle prime ore di questa domenica, centinaia di partecipanti al festival, che si tiene alla periferia di San Cristóbal, oltre i sobborghi indigeni di La Hormiga, sono arrivati nel centro della città per protestare contro l’invasione e chiedere la liberazione dei fermati della Appo, ottenuta ieri notte. 
L’inusuale marcia con le torce proveniente dalla Università della Terra ha fatto chiudere le porte agli hotel e ha fatto ricordare ad alcuni coletos [residenti di San Cristóbal, n.d.t.] la prima alba del 1994. 
Nel pomeriggio Marcos aveva detto: «Non molto lontano da qui, in un posto chiamato Gaza, un esercito fortemente armato ed addestrato, quello del governo di Israele, continua la sua avanzata di morte e distruzione. Una guerra classica di conquista. Prima un bombardamento massiccio per distruggere postazioni militari nevralgiche e indebolire i punti di resistenza, poi il fuoco intenso di artiglieria sulla fanteria nemica per proteggere l’avanzata delle truppe. Poi l’accerchiamento e assedio alla guarnigione, e l’assalto che conquisti la posizione annichilendo il nemico». 
Sulla base delle foto delle agenzie, ha aggiunto Marcos, «i ‘punti nevralgici’ distrutti dall’aviazione israeliana sono abitazioni, capanne ed edifici civili». Allora, «pensiamo che o gli artiglieri hanno una pessima mira o non esistono tali postazioni. Non abbiamo l’onore di conoscere la Palestina, ma supponiamo che in quelle case, capanne ed edifici abita o abitava della gente, uomini, donne, bambini ed anziani, e non soldati». 
Forse, ha sostenuto Marcos, «per il governo di Israele quegli uomini, donne, bambini e anziani sono soldati nemici, e le capanne, case ed edifici dove abitano sono quartieri che bisogna distruggere. Sicuramente i fuochi d’artiglieria che questa mattina cadevano su Gaza erano per proteggere da quegli uomini, donne, bambini e anziani l’avanzata della fanteria di Israele, e la guarnigione nemica che vogliono sconfiggere non è altro che la popolazione palestinese che vive lì, e che l’assalto cercherà di annichilire». 
Con la voce rotta, Marcos ha chiesto: «Le nostre grida fermano qualche bomba? La nostra parola salva la vita di qualche bambino palestinese? Pensiamo di sì. Forse non fermiamo una bomba, né la nostra parola si trasforma in uno scudo blindato», ma probabilmente riesce ad unirsi ad altre e «si trasforma in mormorio, poi in una voce alta e quindi in un grido che si senta a Gaza. Noi zapatisti e zapatiste dell’Ezln sappiamo quanto sia importante che in mezzo alla distruzione e alla morte si sentano parole di incoraggiamento». 
Per il resto, secondo l’analisi di Marcos, «il governo di Israele dichiarerà di aver inferto un duro colpo al terrorismo, occulterà al suo popolo la dimensione del massacro e i produttori di armi avranno ottenuto un guadagno economico». 
Il popolo palestinese resiste, deve sopravvivere e continuare a lottare, ha detto il portavoce zapatista.
«Forse un bambino o una bambina di Gaza sopravviveranno e cresceranno e con loro cresceranno il coraggio, l’indignazione, la rabbia; forse diventeranno soldati o miliziani, forse affronteranno Israele e là in alto scriveranno allora sulla natura violenta dei palestinesi, faranno dichiarazioni di condanna di quella violenza e si tornerà a discutere di sionismo o antisemitismo. Nessuno chiederà chi ha seminato quello che sta raccogliendo». 

(Traduzione del comitato Maribel di Bergamo)

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