domenica 9 novembre 2008

Rosa rosae

Cosa hanno in comune una donna trentaseienne madre di tre figli suicida proprio nel giorno del decimo compleanno della sua bambina, ed una ragazza ventitreenne incinta di cinque mesi ladra di bistecche in un supermercato? 
La disperazione, le accomuna. 
Siamo il paese della desolazione, deprivati della speranza del sogno americano. 
Ci hanno rubato il futuro. 
E non vi e' voce di sdegno, volonta' di rivalsa, voglia di riprendere in mano le sorti d'un destino avverso. 
Come se fosse fatalita', casualita', rassegnazione tutto cio' che accade, una tacita e complice ammissione, dichiarazione fallimentare di massa. 
Non e' frutto del caso e nemmeno di speculazioni azzardate o vite da cicale e non formiche, lo stato di disoccupazione, di poverta', la mancanza di un futuro per i nostri figli. 
Le responsabilita' hanno un nome e un cognome, scelte di governi, di politiche istituzionali, economiche e finanziarie. 
Cosi' come ha un nome - l'ha sempre avuto - la repressione, una tattica, una strategia, un programma di annientamento di ogni anarchico individualismo e di qualsiasi moto collettivo di ribellione. 
Nei paesi cosiddetti democratici ove vige il diritto di manifestazione, si gestisce il dissenso mediante la manipolazione, l'infiltrazione, la provocazione all'interno del movimento, e col controllo sui media tramite tecniche di comunicazione di orientamento dell'opinione pubblica. 
Lo si legge in questi giorni nelle dichiarazioni del senatore a vita Cossiga, lo si e' visto applicato a Genova nel 2001 e in modo per ora ancora soft nelle piazze degli studenti, in preparazione alla risposta a ben altre manifestazioni di lavoratori esasperati, affamati dalla crisi mondiale e da governanti iniqui.
Nei paesi dittatoriali la repressione e' preventiva, attraverso la censura della libera espressione in ogni luogo e su qualsivoglia strumento di informazione. 
Le forme di terrorismo del potere possono essere mediatiche, inoculando il germe della paura, panico terrore; di massa, vedasi guerre, attentati, stragismo; individuali, come l'annientamento dell'identita' e personalita', l'umiliazione, la deprivazione. 
La denigrazione, le minacce, l'occupazione delle sedi di giornali, radio e televisioni, sono il primo passo verso il sistema di censura e repressione, e se questi segnali subdoli e striscianti non vengono colti, captati da chi ha a cuore la democrazia, ovvero sottovalutati senza denuncia, opposizione - quasi in una sorta di obliato consenso - si aprira' la strada a violenze e sopraffazioni assai piu' agguerrite. 
E' vero che il problema della sopravvivenza e' pressante, ed il resto a confronto puo' apparire valore di secondaria importanza, ma in gioco c'e' tanto, tutto, e oltre al bisogno di pane e' altrettanto indispensabile la speranza. 
Quella fame, voglia di speranza che si esprime anche nelle piazze, soprattutto dai giovani, e in quei formidabili strumenti di comunicazione e informazione che sono la scrittura, la lettura, la trasmissione delle idee ed azioni, che oggi - per chi ancora si puo' permettere una connessione al costo di una pizza - si chiama Internet. 
Non sono piu' i tempi delle rose virtuali ma delle rosette di pane.
Il pane e le rose.

2 commenti:

  1. rossà hai scritto una cosa molto vera.
    ok possiamo sperare. ma la fiducia?
    speranza e fiducia non camminano insieme? senza la fiducia siamo fottuti. anzi siamo illusi.

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  2. si' hai ragione, il problema e' fiducia in cosa e in chi, facciamo cosi', chiedimelo domani :)

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